ATTIVITÀ SOCIALI 2015
75 lotti coltivabili, 4 aree
interessate, centinaia di persone coinvolte, vari riconoscimenti tra
cui il premio “Città Sane” e quello riservato ai “Comuni Virtuosi”:
sono questi alcuni dei numeri che sinteticamente ci raccontano il
successo dell’esperienza green degli orti urbani udinesi.
Comincerei col chiederle di raccontarci com’è nato il progetto “L’orto e la luna”?
L’idea degli orti urbani nasce nel 2010 attraverso un percorso che si è
sviluppato “dal basso” a partire dalle richieste di alcune realtà di
quartiere e dall’interessamento, in particolare, del consigliere Mario
Canciani, a cui l’amministrazione comunale ha avuto la capacità di dare
ascolto e voce. La partecipazione è stato il tratto caratteristico di
questa esperienza e la sua vera forza. La scelta non è stata quella di
importare il modello di un’altra città adattandolo alla nostra, ma di
dare vita a un percorso originale basato sul dialogo costante tra le
istituzioni e cittadini rendendo quest’ultimi i veri protagonisti delle
decisioni. Questo metodo – che ha interessato tutte le fasi del
progetto – ha portato a risultati molto importanti e ha permesso di
calibrare le scelte sulle reali esigenze del territorio.
Il modello udinese ha in un certo modo fatto scuola. Quali sono gli
elementi che distinguono la nostra esperienza dalle altre presenti sul
territorio nazionale?
L’esperienza degli orti udinesi è espressione di valori comuni ad altre
realtà che vanno dalla sostenibilità ambientale, alla difesa della
biodiversità, alla promozione di nuovi stili di vita, ma vi sono alcuni
aspetti che la caratterizzano a partire dall’obiettivo stesso del
progetto. Gli orti urbani vogliono essere in primo luogo – e non a caso
di questo parla l’articolo 1 del progetto – luoghi di socializzazione
tra le persone. Per dirla con una battuta il fine non è produrre il
pomodoro più grande, ma creare percorsi di cittadinanza, di
aggregazione, in cui il rapporto con la ‘terra’ diventa l’occasione per
‘fare comunità’.
Entriamo nello specifico. Come funzionano gli orti udinesi?
Ad oggi ci sono 75 orti coltivabili divisi in 4 aree ubicate in via
Zucchi, in via Bariglaria, in via Pellis e in via Zugliano. La scelta
stessa di queste aree non è stata casuale, ma trova risposta in alcune
caratteristiche come la presenza di piste ciclabili, di centri
scolastici o di luoghi di aggregazione. Una recinzione perimetrale
delimita l’area ma tra i singoli lotti non vi sono barriere, ciò per
favorire la collaborazione tra vicini. Ogni lotto (circa 30 mq) è
dotato di acqua, cassapanca per attrezzi e un composter. Ci sono poi le
aree comuni: uno spogliatoio, panchine, fontanelle e un pergolato in
legno coperto da piante rampicanti.
Chi può fare domanda per l’utilizzo degli orti e quali i costi?
Questa è una delle particolarità del modello udinese. In altre realtà
gli orti sono riservati solo ad alcune categorie: a Livorno per esempio
gli orti sono solo per anziani, a Bolzano per disabili e anziani. La
nostra scelta è stata quella di abbattere ogni barriera, gli orti a
Udine sono di tutti. Ci sono 4 tipologie di utenza: le famiglie, gli
anziani, ma anche le scuole e le associazioni. L’assegnazione avviene
attraverso bando pubblico e vi può partecipare chiunque sia residente
in città e non possieda un terreno coltivabile. La concessione ha
durata quinquennale a fronte di un canone forfettario annuale di 48
euro per le spese di irrigazione e illuminazione, ma esistono delle
esenzioni per le fasce deboli.
Quali sono i costi per l’amministrazione e come, nel concreto, avviene la gestione dell’orto?
I costi sono limitati nel senso che essi riguardano solo la
progettazione e la realizzazione delle aree (circa 45 mila euro), ma
superata la prima fase tutto funziona senza nessun aggravio per le
casse comunali. La stessa manutenzione, per esempio, è il frutto della
collaborazione volontaria fra gli utenti. Parlando invece della
gestione entriamo in uno degli aspetti forse più interessanti del
modello udinese: ogni area è autogestita dagli stessi assegnatari che,
riuniti in assemblea, procedono all’elezione di un presidente e di un
comitato di eletti, ciò rappresenta un esercizio di democrazia e di
responsabilizzazione.
Oltre al lavoro a contatto nella terra il progetto sugli orti urbani quali altre attività prevede?
Per capire la portata dell’esperienza degli orti urbani bisogna
chiarire che le persone coinvolte nel progetto sono molte di più di
quelle assegnatarie dei lotti e che la partecipazione in questi anni
alle diverse attività proposte è stata superiore ad ogni aspettativa.
Le iniziative hanno affrontato varie tematiche: dalle lezioni
specifiche sulla coltivazione della terra, ai corsi – realizzati in
collaborazione con Coldiretti e l’Aiab – sulla coltivazione biologica e
sulla sostenibilità ambientale, fino agli incontri organizzati con lo
chef Emanuele Scarello che ha presentato varie ricette da realizzarsi
con i prodotti ricavati dagli orti. Ci siamo anche dotati di una
rivista “Il Portolano” e abbiamo organizzato una mostra, visitata da
circa 3000 persone in pochi mesi, sulla storia urbanistica degli orti
urbani utile a capire come questa esperienza sia anche un’importante
occasione per ricordare la nostra storia e riscoprire la nostra
identità e la nostra cultura.
Quanto secondo lei questo progetto può incidere sugli stili di vita delle persone?
Sicuramente molto. Questa esperienza nasce anche per creare sensibilità
e attenzione rispetto ad alcuni temi e, allo stesso tempo, dare la
possibilità di conoscere alcune regole di comportamento che, se
osservate, possono incidere profondamente sul benessere dei cittadini e
della comunità nel suo complesso. Nello specifico penso al valore che
sempre di più assume il mangiar sano, il passare del tempo all’aria
aperta o – riferendomi al benessere psichico – all’importanza della
socializzazione con altre persone. Alcuni studi realizzati dalla
facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Udine – basati sui
risultati di un questionario – hanno dimostrato che le persone
utilizzatrici degli orti dichiarano non solo di aver modificato le
proprie abitudini alimentari, ma anche di porre più attenzione alla
provenienza dei prodotti e al tema della filiera.
Per concludere: quali sono i progetti in cantiere e le sue speranze per il futuro del progetto?
Le domande sono molte e in crescita, alle attuali graduatorie si
aggiungono 170 ulteriori manifestazioni di interesse per la
realizzazioni di nuovi lotti. Ad esse si aggiungono alcune richieste
specifiche, come quelle dell’ospedale Gervasutta o del Csre di via
Laipacco per la creazione di aree adatte al recupero psico-terapeutico.
La mia consapevolezza – maturata in questi 5 anni – è che l’orto non è
solo un semplice appezzamento di terreno, ma molto di più: un
micromondo dove è possibile sperimentare un futuro migliore.
Tratto dal sito www.udineincontroluce.it